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Vincenzo Gemito è stato uno scultore, disegnatore e orafo italiano. Autodidatta e insofferente ai canoni accademici, Gemito si formò attingendo dai vicoli del centro storico di Napoli e dalle sculture del museo archeologico. La sua prolifica attività artistica, che lo portò all'apice del successo ai Salons di Parigi nel 1876-77, fu interrotta a causa di un'intima crisi intellettuale, per via della quale si segregò dal mondo per diciotto anni; riprese la vita pubblica solo nel 1909, per poi spegnersi venti anni dopo. La produzione gemitiana comprende vigorosi disegni, figure in terracotta e un gran numero di sculture, tutte ritraenti con un'elevata intensità pittorica scene popolaresche napoletane; tra le sue opere principali si possono ricordare il Pescatorello, l'Acquaiolo (l'originale fuso in argento si trova presso il museo del Cenedese di Vittorio Veneto - Treviso) , la statua di Carlo V sulla facciata del Palazzo Reale di Napoli, la Zingara e i numerosi autoritratti. Vincenzo Gemito nacque a Napoli il 16 luglio 1852. Della sua famiglia originaria non ci sono pervenute notizie, se non a proposito delle pressanti ristrettezze economiche che spinsero i genitori ad affidarlo, quando aveva appena un giorno, nella ruota degli esposti dello Stabilimento dell'Annunziata, dove venivano collocati i bambini abbandonati. Il 30 luglio dello stesso anno venne affidato alle cure di una certa Giuseppina Baratta e del suo consorte Giuseppe Bes. Alla morte di quest'ultimo, la Baratta sposò in seconde nozze un povero muratore, Francesco Jadiciccio, quel «mastro Ciccio» raffigurato in vari disegni giovanili del Gemito. Di indole assai turbolenta e riottosa, il giovane Gemito ebbe un'adolescenza assai irrequieta, allietata solo con l'amicizia che lo legò con un suo coetaneo, Antonio Mancini (detto «Totonno»), con il quale iniziò ad assaporare anche i confini di pittura e scultura. L'iniziale formazione artistica del Gemito avvenne nell'ambito della bottega di Emanuele Caggiano, scultore di gusto accademico, che conobbe a nove anni mentre faceva da fattorino a un sarto; ma poco dopo, nel 1862, il giovane Vincenzo passò sotto la guida di Stanislao Lista, che gli trasmise i rudimenti dello studio del vero nella scultura. Il 23 aprile 1864 venne pure ammesso al Regio Istituto di belle arti, ma ben presto lasciò le chiuse aule dell'accademia, preferendo prendere ispirazione dall'atmosfera vibrante dei vicoli del centro storico di Napoli. In questi anni si pone pure l'esordio artistico del Gemito, che nel 1868 espose alla Società promotrice di belle arti di Napoli il Giocatore di carte, scultura che attinge il suo spunto narrativo proprio dall'ambiente popolare napoletano, cristallizzata nella figura dello scugnizzo che gioca a carte. Questa novità viene ribadita dallo scultore con l'esecuzione nel 1869 del Ritratto del pittore Petrocelli, dove confermò la propria ribellione nei confronti dell'arte scultorea ufficiale, in bilico tra gli ultimi esiti delle correnti canoviane e le incertezze del Romanticismo. Vincenzo Gemito realizzò un busto di terracotta in onore di Vincenzo Petrocelli nel 1869 . Frattanto, Gemito riunì attorno a sé un folto gruppo di artisti insofferenti alla codificazione accademica dell'arte scultorea, che contava - oltre all'inseparabile Totonno - anche Giovanni Battista Amendola, Achille D'Orsi, Ettore Ximenes, Vincenzo Buonocore e Luigi Fabron; insieme a quest'ultimi si rifugiò nei sotterranei del complesso di Sant'Andrea delle Dame, dove stabilì il proprio atelier. Fu in quest'ambito che Gemito - tra il 1870 e il 1872 - eseguì la pregevolissima serie di testine di terracotta, «mirabili per vivacità di sguardi e naturalezza di atteggiamenti»; di questi anni sono Moretto, Scugnizzo e Fiociniere. Ad esser ritratti erano trovatelli come lui, presi per le strade del centro antico e allettati per pochi soldi. Salvatore Di Giacomo ci restituisce un'immagine molto vivida dello studio di Gemito: « Gli adolescenti popolani ch'egli si conduceva in quell'antro afferivano all'impasto mirabile della sua cera e della sua creta magnifici brani di nudità, riarsa dal nostro sole ardente e intinta come nel colore del bronzo » Nel 1871 vinse il primo premio del concorso indetto dall'Istituto delle Belle Arti di Napoli, che garantiva ai vincitori una borsa di studio per un pensionato artistico a Roma. Le opere che portò come prova del concorso furono l'altorilievo Giuseppe venduto dai fratelli (che gli valse le simpatie del professore di pittura Domenico Morelli) e la scultura del Bruto che - raffigurando il patrizio romano avvolto in un sovrabbondante panneggio - rappresenta la prima immagine esplicitamente desunta dal mondo classico romano, che Gemito proprio in quegli anni stava studiando al museo archeologico nazionale. Nel 1873 conobbe Matilde Duffaud, fanciulla dal carattere docile e sottomesso che divenne sua compagna e modella nel suo nuovo atelier sulla collina del Mojarello, a Capodimonte. Allo stesso anno risalgono i busti in terracotta raffiguranti Francesco Paolo Michetti e Toton l'amico mio, e quelli bronzei raffiguranti Domenico Morelli e Giuseppe Verdi. Dell'anno successivo è invece il Ritratto di Guido Marvasi, figlio di quel prefetto Diomede che sarà uno dei primi mecenati dell'artista.
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